Nel corso del 2018 ammontano a circa 157.500, con un +2,6% rispetto al 2017, le assunzioni complessive riferite alla componente femminile delle Marche. La differenza tra assunzioni e cessazioni è di segno positivo sia per la componente maschile che per quella femminile: ciò significa che nel 2018, si è verificato un aumento delle posizioni lavorative. L’entità del saldo risulta per gli uomini di 6.868 unità, per le donne di 3.483 unità. Questi i dati elaborati dall’Osservatorio regionale del mercato del lavoro e aggiornati al 1° marzo 2019.
“I numeri – commenta l’assessore al Lavoro, all’istruzione e alla Famiglia Loretta Bravi in occasione della ricorrenza del prossimo 8 marzo – ci dicono che, per le donne marchigiane, sul fronte del lavoro la situazione sta migliorando. E’ altrettanto vero però che ci sono ancora molte criticità da risolvere. Donne e famiglia, donne e istruzione, donne e lavoro: è evidente che nelle deleghe a me affidate la donna ha un ruolo portante in fatto di cura, di quotidianità, di poco clamore, ma con la coscienza di una posizione ineludibile. Uscendo dalle ormai obsolete e sterili diatribe tra status e ruolo, moglie madre e donna in carriera, vorrei ribadire che oggi la donna necessita concretamente di sostegno e di servizi di prossimità per poter esprimere appieno maternità e professionalità. Come assessorato siamo quindi all’opera attraverso diversi provvedimenti: voucher asili nido, centri estivi, accordi di conciliazione tempi vita e lavoro, iniziative in grado di sostenere modalità di prestazione di lavoro e di tipologie contrattuali flessibili a tutela della maternità, adozione di modelli e soluzioni organizzative “family friendly”, sostegno all’inserimento occupazionale con i fondi Fse, formazione professionale e soprattutto un costante dialogo con le aziende per la tutela del “bene” donna. Parliamo di misure pensate a sostegno soprattutto delle giovani coppie che investono su lavoro e famiglia, intesa questa, come una risorsa per la comunità”.
Approfondendo l’analisi alle singole tipologie contrattuali riferite alla componente femminile, si registrano, nel corso del 2018, 10.521 assunzioni a tempo indeterminato (+12,9% rispetto all’anno precedente), 81.507 a tempo determinato (+3,9%), 5.884 con contratti di apprendistato (+13,1%) e circa 25mila con contratti di somministrazione. Quest’ultima fattispecie è l’unica, nell’ambito del lavoro dipendente, con variazione annua di segno negativo (-8,4%).
Le assunzioni aumentano, per le donne, in tutte le classi di età con variazioni più accentuate per le over 45: +5,3% in riferimento alla classe 45 – 54; +7,2% per il segmento 55 – 64 e +5,3% per le donne con oltre 65 anni di età. Tale dinamica è riscontrabile anche nel lungo periodo poiché, a partire dal 2008, gli avviamenti sono diminuiti per le più giovani e aumentate per le donne adulte. Si noti, tuttavia, come circa un terzo della domanda di lavoro venga intercettato dalle 15 – 29enni. Gli ingressi nell’occupazione riferiti alla componente maschile superano quelli della componente femminile in tutti i segmenti presi in considerazione. Il divario è più ampio tra i giovani di 15 – 24 anni (57,2% gli uomini e 42,8% le donne) e tra gli over 65 (73,4% -26.6%). Solo nella classe 35 – 44 si osserva una sostanziale equidistribuzione dei flussi (50,1 -49,9%).
Nel 2018 la domanda di lavoro intercettata dalle donne registra variazioni di segno positivo in tutti i macro-settori di attività economica. Nell’agricoltura l’incremento è pari al 12,1%, nel manifatturiero al +3,9%. Nelle attività industriali di energia e ambiente le assunzioni salgono da 174 a 212; nelle costruzioni da 437 a 579. In espansione anche il terziario (+2,1%) settore in cui il numero assoluto delle assunzioni riferite alla componente femminile supera quello degli uomini. L’incidenza delle donne nei flussi di assunzioni riferiti all’insieme delle attività dei servizi si attesta, nel 2018, al 52,9%; situazione opposta nelle costruzioni, settore in cui la quota di avviamenti è pari al 95,5% per gli uomini e al 4,5% per le donne. Gli uomini prevalgono anche nell’insieme delle attività industriali, con l’eccezione del tessile abbigliamento, e nell’agricoltura (68,0% e 79,05 rispettivamente).